
Erving Goffman
La parola "stigma" sul dizionario significa marchio, impronta, segno distintivo. Per gli espetti di salute mentale, il termine indica la discriminazione basata sul pregiudizio nei confronti del malato. Lo stigma è il principale ostacolo alla cura poichè genera un circolo vizioso di malattia e pregiudizio. Il malato, in fuga dalla propria condizione per timore dello stigma si isola, peggiorando il proprio stato di esclusione e rafforzando il pregiudizio stesso.
foto Bonfanti: http://www.marcelbon.com/index.html
"Poesia a Giuliano Grittini, fotografo". Tratto da www.aldamerini.it. Il racconto della poetessa è disarmante quanto semplice e ribalta le posizioni fra osservatore e osservato: lo stigma muta in icona. Alchimia incomprensibile o sensibilità acuta ?
Scatenar Tempesta
Quello stesso giorno mi era morta un’amica, una cara amic che il manicomio aveva respinto. Era una donna castigata, molto pulita e ordnata, che però non era riuscita come me ad emergere dal suo nulla. Il S.Paolo la respinse, si trovò sola, con un marito che non voleva più vedere. Era Natale e lui che l’amava tanto gli aveva preparato na festa degna del loro amore. Lui si chiamava Michele ed è stato il vigile urbano che ha fondato la festa sui Navigli, lei una delle più belle ragazze delle due sponde. Forse lui voleva amarla, lei non voleva. La mia reazione fu violenta, come il suo disgusto per la vita.
Era morta anche Rossella proprio il giorno si S. Valentino. E allora io, malgrado la mia bronchite, mi spogliai nuda davanti a Giuliano e gli dissi : “…dobbiamo fare scandalo…”, uno scandalo più cupo di quello dei manicomi. Ne uscirono dodici foto talmente belle che non potei non approvarle. Ma erano diverse, erano paciose e ironiche come io non volevo ce fossero. Tra l’altro, con tutto quell’adipe che mi portavo addosso, le tracce delle passate torture non si vedevano proprio.
Grittini non mi toccò. Ripose le foto e da allora, lui che conosceva tutte le mie sofferenze, non mi lasciò più. Grazie a lui vinsi tutti i premi possibili. Ma ebbe un tle rispetto di me, che anch’io come lui capii l’interno valore artistico di una fotografia.”
( Alessandro Riva, tratto da “ Il lato oscuro della letteratura”)
Da "Non si muore tutte le mattine" romanzo di Vinicio Capossela.
Il rapporto sulla infanzia in Italia e nel Mondo
http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1090
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/12_Dicembre/14/unicef.shtml
http://www.repubblica.it/2005/l/sezioni/esteri/rapunicef/rapunicef/rapunicef.html
Voglio davvero far vedere alla comunità che anche con l'Hiv si possono fare un sacco di cose. Si può aiutare la gente. Essere sieropositivi non significa che si deve stare seduti ad aspettare l'aiuto degli altri.
Vivo a Kibera da 10 anni. Quando ho scoperto di essere sieropositivo stavo studiando per diventare un insegnante elementare nella regione del Mount Kenya. Puntavo in alto, volevo andarmene dal Kenya e viaggiare in altri paesi. Ho dovuto interrompere il corso perché continuavo ad ammalarmi. In ospedale mi è stato fatto il test ed è risultato positivo. E' davvero una brutta storia. Il college ha saputo dei risultati dall'ospedale e il preside mi ha detto: "Qui insegniamo a gente attiva, non teniamo gente che non partecipa". Ho dovuto lasciare il college, mi sentivo spacciato. Mi sentivo a pezzi, senza alcuna speranza, non vedevo un futuro. Sapevo che i sieropositivi sono degli emarginati sociali perché tutti pensano che moriranno presto. Ero scioccato, perché sapevo che sarei diventato uno di loro e che la comunità mi avrebbe additato come tale. Ho pensato di buttarmi sotto un treno. Mi trasferii a casa di un amico, ma non gli dissi di essere sieropositivo. La casa era piccola e io dormivo nel suo letto quando lui era al lavoro. Ma lui mi ha fatto capire che voleva che me ne andassi.
Ho incontrato un assistente di nome Tom al centro di Msf. Abbiamo parlato dei miei problemi a lungo. Mi hanno fatto un test "CD4" per verificare se era il caso di cominciare a prendere retrovirali. Il risultato era che avrei dovuto già prenderli da tempo. Ma sono stato fortunato. I farmaci hanno cambiato la mia vita. E' stato difficile cominciare la terapia retrovirale. Non ho avuto veri effetti collaterali, però ho perso l'appetito. Dopo alcuni mesi, però, ho cominciato a notare il cambiamento. Mi sentivo forte. Potevo stare in piedi per ore. Ho cercato un lavoro e sono diventato insegnante in una scuola di bambini orfani per l'epidemia di Hiv. Guadagno abbastanza da pagare l'affitto. Ho conosciuto altre persone che convivono con il virus, come me. Abbiamo formato un gruppo di aiuto e parliamo tanto. Ci facciamo coraggio l'uno con l'altro a vivere in modo positivo e mi accorgo che divento sempre più coraggioso. La gente deve sapere che l'Hiv è qualcosa con cui si può convivere, non è una condanna a morte. Adesso lavoro come receptionist alla clinica Hiv. Mi piace molto perché ho a che fare con persone sieropositive, come me. Le cose sono talmente cambiate per me negli ultimi due anni. Ho messo su qualche chilo e faccio un lavoro intenso. So che posso ottenere tutto quel che voglio e che la mia famiglia avrà i benefici del mio lavoro. Tutti schernirono mia madre quando si scoprì che ero sieropositivo, ma ora posso aiutarla. Tutto questo grazie alle medicine. Se non fosse stato per i farmaci gratuiti di Msf, non so cosa sarebbe successo, in tanti sarebbero morti, compreso me. La terapia dovrebbe essere gratis per tutti. Non sono i paesi africani a volere la loro povertà. L'Hiv è un problema mondiale e l'Africa fa parte del mondo!
Quando capii che i miei amici stavano sparlando di me in giro dicendo a tutti che avevo il virus, volevo solo suicidarmi. Mi sentivo discriminato, che la mia vita era finita, che nessuno mi voleva. Due settimane più tardi stavo andando in giro a Kibera chiedendomi cosa fare e dove andare. Per caso, trovai un opuscolo su Msf e sull'aiuto che davano alla gente che viveva con l'Hiv. Lo lessi e andai a cerca la clinica. Quando arrivai alla clinica, trovai un'infermiera che si chiamava Florence. Le dissi che ero disperato e deciso a suicidarmi. Lei mi ascoltò, poi mi disse che non era la scelta migliore, che c'era di meglio da fare.
Ora passo molto del mio tempo a tenere discorsi su questioni sanitarie e a educare la gente sul problema dell'Hiv. In questa foto, stavo parlando con due ragazze che sono a scuola con mia sorella. Stavo spiegando loro che la malattia si trasmette per via sessuale e che l'unico modo per sapere se si è stati contagiati, è il test per l'Hiv. Ogni tanto mi chiedo: avremo un'altra generazione? Così, un po' di tempo fa, ho deciso di organizzare un gruppo per educare più giovani possibile sul virus. All'inizio eravamo in sette, adesso siamo in trenta.
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